Il biancomangiare, come suggerisce già il nome, è un dolce siciliano preparato da ingredienti di colore bianco. Il colore bianco, simbolo di purezza, sottolineava come in passato il dolce fosse prerogativa della nobiltà e delle classi più agiate.
Il biancomangiare e le sue varianti
Conosciuto come blanc manger in francese e menjar blanc in catalano, questo dolce della pasticceria siciliana è entrato a far parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) non solo della Sicilia, ma anche di Sardegna e Valle d’Aosta.
La ricetta del biancomangiare che conosciamo oggi in Sicilia e che fa ormai parte della tradizione della pasticceria siciliana è composta da zucchero, amido di mais, latte di mandorla e limone.
Questo dolce siciliano non è però sempre stato così, anzi, non è sempre stato un dolce. In passato esistevano due versioni di biancomangiare, la variante dolce e la variante salata. La cosa che le accomunava era l’utilizzo di ingredienti di colore bianco: latte, lardo, pollo, riso, mandorle, zucchero, zenzero bianco e così via.
La storia del dolce
Le origini di questo dolce della cucina siciliana non sono chiare. Alcuni sostengono che il biancomangiare sia nato in Francia, considerata la frequente presenza del termine “blanc manger” e delle sue varianti negli antichi ricettari francesi. Altri pensano invece che siano stati gli arabi a portare la ricetta del biancomangiare in Italia e specialmente in Sicilia.
Molti sostengono che questo dolce si sia diffuso in Italia intorno all’XI secolo e che sarebbe stato già presente nel banchetto organizzato da Matilde di Canossa per la riappacificazione del Papa e dell’Imperatore.
Troviamo una testimonianza del biancomangiare anche nel Liber de coquina del XIV secolo, in cui è presente una variante col pollo e una con il pesce per la Quaresima.
Una delle testimonianze più recenti è quella di Giuseppe Pitrè ne “La vita in Palermo cento e più anni fa”. Lo scrittore parla infatti del biancomangiare come un dolce della cucina siciliana preparato nel ‘700 dalle monache del Monastero di Santa Caterina.
Ne troviamo menzione anche ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che descrive il dolce della pasticceria siciliana come un dolce elegante.